Manuela Di Centa racconta il raggiungimento del suo sogno

26-5-2003. La “finestra” era quella… e bisognava partire, stanchi o no la possibilità era quella – del 22-23 maggio. Il meteo detta legge.
Veramente stanca sono partita dal Campo Base, martedì 20, al mattino presto, per raggiungere il Campo 2 a quota 6500m come prima tappa, (circa 7 ore e mezza dal Campo Base). Naturalmente sempre attraverso il sempre più pericolosa Ice Fall.

Campo 2 è oramai quasi casa, con la tendina cucina, e le due tendine per dormire, un pasto caldo di Jangbo, cuoco ma soprattutto sherpa, mi danno una carica buona per affrontare nel pomeriggio, la grande parete verticale di ghiaccio che porta al Campo 3 a quota 7400m.

La nostra tendina sembra appesa alla parete del seracco, visto quanto è ripido il pendio, è piccolissima. Ma sembra una suite guardandomi in giro e sentendomi immersa in una natura veramente severa.

Il sole se ne’ va alle 18 circa e Filippo, che è con mè, fa appena in tempo a chiudere la tendina che improvvisamente la temperatura scende fino a –23c°: quindi, sacco piuma, doppi calzettoni, tutone di piuma, berretto, guanti,giaccone di piuma. Non bastano per stare caldi.

La quota si sfa sentire ed il mal di testa inizia ad arrivare…
Comunque prevedendo l’eventuale necessità, mi ero organizzata con l’ossigeno e così posta la lancetta sull’erogatore a 0.5, maschera in viso, ho riposato bene tutta la notte.

La sveglia è stata veramente speciale. Alpinisti che sin dall’alba con i loro passi ramponati creavano un suono speciale imprimendosi sulla neve freddissima.
In tanti, dal Campo 3, iniziavano la loro scalata prestissimo verso Campo 4, il famosissimo Colle Sud.

Io avevo istruzioni di aspettare il mio sherpa Dorge, che mi avrebbe raggiunta al Campo 3 per poi proseguire assieme verso Colle Sud.

Quando Dorge mi raggiunge, con Filippo sono pronta ad affrontare il “nuovo” tragitto che porta a Colle Sud. Immaginavo che questo tratto fosse più dolce, ma ovviamente mi sbagliavo. La quota, sempre più sù e il ripido pendio mi fa subito intuire che sarebbe stata una giornata durissima.

Arriviamo a Colle Sud accolti da un freddo, potrei dire sempre più “cane”, accompagnato da un vento così pungente da mettere paura, è quasi buio, mi sento un pò sperduta, guardo l’orologio e mi rendo conto che le 16.00 sono passata da qualche minuto. Vuol dire che Fabio è gia partito per il tentativo di record dal Campo Base.

Mille pensieri mi assalgono, sentendo proprio la forza di questo luogo speciale, dove tanta storia si è fatta, dove tante emozioni di uomini speciali si sono raggruppate, e dove sicuramente c’è tanta sofferenza.

Ci sono circa 30 tendine al Colle, ma non sono riuscita a contarle. Il vento non permette neppure questo. La tendina vicino alla mia è quella degli Sherpa. E’ buio. Dorge mi fa sapere che partiremo verso le 10.30 e io sono pronta, un pò agitata, ma assolutamente serena per arrivare dove la Montagna deciderà di farmi arrivare
.

Non riesco a mangiare nulla, Filippo riposa aspettando Fabio per fargli assistenza al Campo 4. Così, io rimarrò sola con Dorge per la parte finale della scalata: 900m di dislivello.

Una luce più forte della mia mi attira l’attenzione. Vado così nella tenda degli Sherpa condividendo con loro alcuni momenti preparatori alla scalata. Loro bevono un bollente caffèlatte ed io copio. Controllo delle bombole, controllo guanti, e maschere, un pò di calore raccolto sulle mani dal piccolissimo fornellino a gas che riscalda l’acqua, e siamo pronti!


Quando esco dalla piccolissima tendina, sono le 11.40. Mi sento quasi un palombaro. Sono immersa nel tutone di piuma e nel giaccone di piuma, con passamontagna, cappello, maschera, scarponi e ramponi che mi paiono enormi, guantini e guantoni di piuma.


Una folata di vento fortissima mi riporta alla concretezza, stiamo partendo per andare il più possibile in su…

Alzo lo sguardo aiutato dalla minuscola lampada che porto sulla fronte, e vedo tante altre lucine sopra di me… sono tutti alpinisti che si accingono a tentare la vetta.

Nuovamente il pensiero va a Fabio. Fa freddo. Dovrebbe essere arrivato a Campo 3 ma non ho notizie, le radio lassù non si connettono.

Dopo un breve tratto di ghiaccio verticale, inizia un ripidissimo ed infinito tratto di misto, così ripido da imbarazzare. Oltretutto, la maschera dell’ossigeno è scomodissima, ma soprattutto non permette di vedere dove si mettono i piedi ramponati. E’ una vera difficoltà.

Le ore passano, la salita è sempre lì. Le lucine sono sempre sopra di me. E’ come se fosse una strada infinita.
Il vento continua a soffiare ed i piedi ne soffrono. Decido di girarmi contro vento, ma so che non potrebbe bastare.

E’ la luna che mi da un primo regalo di gioia mescolato alla fatica. Sbuca vicino al gigante Nero, il Makalu’, illuminandolo e facendolo risplendere nella sua bellezza. La luna si alza e noi, sempre con il naso all’insù, sperando nella fine di quel ripidissimo pendio.

Non chiedo nulla a Dorge. Sapevo che sarebbe stata una lunga e faticosa notte, passo dopo passo. Nel silenzio, finalmente, del vento si sente solo la musica delle morsicate dei nostri ramponi. La luna, oramai alta, sta dando il cambio ad una alba mozzafiato, e già di fiato eravamo corti.

Il sole, con i colori rosa, azzurro, chiaro, bianco, grigio, inizia a tinteggiare la catena Himalayana rendendola di un fascino incredibile. Mi mescolo in tutte queste emozioni e mi godo le bellezze di questo SOGNO.

E’ così’ forte che per un pò mi scordo della fatica che sto facendo, della maschera che mi taglia il naso, del freddo che non da tregua e della salita che sembra sempre più ripida.

Guardo in giù e penso che dovrei vedere la lucina di Fabio arrivare, ma non vedo nulla, comincio a pensare: sarà successo qualcosa? Caccio via subito il pensiero, e torno a lottare con le rocce che si mescolano al ghiaccio e mi dico: CI SARA’ UNA FINE.

Il sole è ormai alto quando mi sembra di arrivare alla fine del lungo canale che dal Colle Sud porta ad una specie di balcone. Infatti si chiama Balconata, così mi dice Dorge. Lo spettacolo da lassù e’ fantastico, il tempo di fare una pipì e non vi dico la difficoltà… Qualche occhiata al magnifico panorama, e Dorge subito mi dice che non c’e’ tempo da perdere, bisogna continuare.

Oramai non c’e’ bisogno delle luce, ed io mi rendo conto che Fabio non mi ha ancora raggiunta, vuol dire che si è fermato! Non voglio pensare che sia successo qualcosa, ma il pensiero mi assilla.

Non finisce mai questa montagna. Ogni cosa diventa sempre più piccola guardandola da lassù. Campo 3 è quasi invisibile, il Colle Sud è un puntino. In compenso emergono sempre più le cime alte che circondano sua Maestà, l’Everest.

Il sole riscalda, ma addirittura brucia, lo sento sul viso, sulle labbra e la salita continua alternando tratti di misto, roccia fragile con ghiaccio, e vere scalinate di ghiaccio e neve.
C’è sempre presente una corda che permette di potersi aggrappare con la Giumar, quasi come a segnare la strada, ma a volte le corde sono vecchie, o sono tante e aggrovigliate, bisogna stare attenti. Sempre.

Non resisto più e chiedo a Dorge quanto manca alla vetta. Non so se posso farcela. Le mie gambe sono sfinite, i mie polpacci stanno scoppiando, la maschera in faccia mi sta creando un solco sul naso, mi brucia il sole.
“ Tre ore mi dice”. Non c’è la faccio mi dico, è troppo, ma continuo. Aspetto L’Hillary Step!!!!!! Lo voglio almeno vedere.

E’ un’attraversata nelle pene fisiche e nel combattimento mentale, nel tener duro. Sembra sempre di arrivare ma non si arriva mai.
E’ piena luce, giorno cresciuto e Dorge si gira verso me dicendomi: “eccolo l’Hillary Step!”

Il suo fascino mi attira fortemente, capisco che è una parte difficile, molto tecnica, pericolosa perchè sono molto stanca, ho bisogno di riposarmi un pò prima di affrontarlo.
Dorge è d’accordo. Venti minuti di sosta e raccolgo le forze per affrontare il mitico Step.

Le corde aiutano l’arrampicata, ma mi rendo conto che sono comunque sempre su di una lama di rasoio, un piccolo sbaglio e la caduta sarebbe inevitabile.
Ad un certo punto Dorge si ferma, quasi in attesa, come se fosse in meditazione. Mancano pochissimi metri alla cima. Ognuno di noi guarda e sente l’emozione dentro.

L’abbraccio sulla cima è un caldo sgorgare di lacrime, ed un dolce gustare la meraviglia di una parte della natura, Grande Natura , Sua Maesta’ L’Everest, il tetto del Mondo…la sacra Chomonlunga, la venerata Sagarmatha…

Una Avventura Un sogno Una avventura lunga un sogno. E, come tutti i sogni, servono a farci credere, a farci sperare a farci lottare, alimentandoci con la forza del VOLERE, del CREDERE, del SENTIRE.

Con rispetto per tutto quello che ho visto e provato
a Sua Maestà, L’Everest

Manuela Di Centa

da www.everestspeedexpedition.com