Everest Speed Expedition, il diario di Manuela Di Centa (4)

28-4-2003. “Attendo in Piramide il recupero del mio fisico, sono a quota 5050 metri, altitudine molto importante dove il corpo inizia a fare davvero fatica ad adeguarsi”.

E’ sera, e durante la cena arriva dal Campo Base uno sherpa; è in grande difficoltà. Ha bisogno di aiuto. Manuel, il nostro capo spedizione che è anche dottore, decide subito di metterlo nella camera iperbarica, dove il suo corpo puo’ ritrovare condizioni migliori di ossigeno.

Poco dopo sta già meglio, un piatto di riso caldo ed il calore della stufa gli fanno riprendere completamente le forze ed anche tutti noi ci sentiamo meglio.

“Rimango sola alla Piramide. Il mio corpo ancora non e’ pronto a salire di quota, mi preoccupo un po’, ma basta aspettare: tutto il resto del team è salito al campo base dove inizierà a preparare la logistica del campo”.

Trascorsi due giorni in solitudine alla Piramide, finalmente sono anch’io pronta per salire al Campo Base. Accompagnata dalle due Guide Alpine che lavorano al Centro Italiano Ricerche, Ugo e Beppe, inizio la lunghissima camminata verso la nuova casa.

“Una splendida giornata di sole ci accompagna, la gioia è dentro di me, che si mescola con la forza della natura attraverso lo spettacolo che mi offre.
La grande morena dell’Everest è il mio sentiero, il grande letto del fiume Everest, fatto di sassi e di ghiacci perenni mi guida. Dopo tre ore e mezza inizio a vedere i mille colori della tendopoli del Campo Base.
Sembra un prato di neve con centinaia di boccioli in fiore”.

Il Campo è grande, per percorrerlo ci vuole mezz’ora e va percorso tutto, perché noi siamo proprio nella parte finale, a pochi metri dall’inizio della leggendaria “Ice Fall” (la cascata di ghiaccio).

“Vengo catturata dalla bellezza che la natura mi offre, dal suo immenso ghiaccio colorato dall’azzurro al verde al bianco al grigio o dai tanti colori che sembra che la dipingano. C’è anche un silenzio che incanta e affascina. Fabio mi raggiunge ed assieme entriamo al Campo Base.

Siamo di nuovo tutti assieme, pronti ad inaugurare ufficialmente il Campo Base. La Puja è un rito della popolazione Sherpana che sale l’Everest.
Presto al mattino, sherpa, cuochi, aiutanti, si attivano a portare attorno al Chorten situato al centro del campo, molteplici cibi, riso, biscotti, burro, mele, cesti colmi di ogni tipo di pietanze; accendono un fuoco con incensi e minuscoli arbusti di ginepro portati appositamente dalla bassa valle del Solu Khumbu.
Il Lama è arrivato ed inizia a pregare sfogliando i pacchi di preghiere tibetane. Un a lunga pertica viene vestita a festa con fazzoletti di preghiera, bandiere che rappresentano e rispecchiano la terra e le origini di ognuno di noi. La bandiera italiana, la bandiera nepalese, la bandiera della Provincia di Sondrio e la bandiera Olimpica che con i suoi cinque cerchi racchiude davvero il concetto di unione di tutti i popoli.

Dorgie, il capo sherpa (sirdar), ci dice di portare tutte le nostre piccozze e tutti i ramponi alla base del Chorten, per la benedizione. Il rito è un misto di odori di incenso, gesti di ringraziamento, lanciamo tutti assieme il riso in aria, gli sherpa ci cospargono il viso di farina, ci sono offerte, canti e condivisione mistica degli elementi naturali che ci circondano, chiedendo perdono alla Montagna, perché, in parte, la profaniamo salendola.

“Mi rendo conto che partecipando allungo e multiforme rito sto chiedendo perdono alla montagna per la scalata”.

Il rito segna l’inizio anche dell’attività concreta della scalata.
Il mattino successivo Fabio, Silvano e Filippo e due sherpa salgono per preparare il Campo 1, quota 6100m, superando la cascata di ghiaccio, l’Ice
Fall.


Manuela Di Centa


da www.everestspeedexpedition.com


(nella foto il Campo Base)